Yungchen Lhamo: una voce new age dal Tibet a Varese

Alla rassegna “D’altri canti” promossa a Varese da Filmstudio’90 un evento speciale con il concerto di Yungchen Lhamo al Cinema Teatro Nuovo lunedì 18 aprile 2011.
Erica Besoli intervista in esclusiva per il Notiziario delle associazioni la cantante tibetana (riprese e traduzione dall’inglese di Giulia Ganugi).
Nata in un campo di lavoro a Lhasa, nel Tibet occupato dai cinesi, Yungchen Lhamo comincia a lavorare in una fabbrica di tappeti all’età di cinque anni. In un clima politico totalmente ostile apprende da sua nonna il canto devozionale che ha condiviso poi con tutto il mondo. Quando riesce a fuggire e raggiungere Dharamsala, la residenza del capo spirituale tibetano in esilio, il Dalai Lama, riconoscendo il talento di Yungchen, la incoraggia ad andare per il mondo a diffondere la ricchezza della cultura tibetana.

Lei ha avuto un’infanzia molto difficile: all’ età di cinque anni già lavorava in fabbrica. Cosa si ricorda di quel periodo?

Inizialmente non in fabbrica ma nei campi. A quei tempi molti bambini dovevano andare a raccogliere il grano; quando sono andata in fabbrica avevo 13 anni. Era una sorta di scuola per i bambini di allora, quando poi sono andata a lavorare in fabbrica è stato come entrare nel mondo del lavoro. Ricordo che mi mancava sempre mia madre e ogni giorno la sognavo: era come vederla.

Nella sua biografia c’è scritto che sua nonna era solita insegnarle le canzoni  tibetane mentre lavoravate. Pensava che il canto fosse una via di fuga dalla tragica situazione in cui viveva?

Mia nonna diceva che avevo un dono per il canto, io non lo capivo perché ero piccola, ma ora capisco cosa voleva dire. Mi diceva anche che se volevo far qualcosa per le persone dovevo cantare.

Il suo nome in tibetano significa “Dea del canto e della melodia”.Crede che questo possa essere stato un preludio del suo successo?

Io non mi vedo come una dea, non mi interessa il successo. Credo nel canto come offerta.

Dopo la fuga in India, lei ha incontrato personalmente il Dalai Lama, che l’ha incoraggiata a portare la sua musica in Occidente. Cosa si ricorda di lui?

Quando arrivai in India fu il primo desiderio vedere il Dalai Lama, perché per noi tibetani – e non riuscirò mai ad esprimerlo con le parole o con la mia voce – il Dalai Lama è molto più che un personaggio illustre. Ho molto rispetto per lui, lavora per il mondo ed insegna come vivere bene in questo mondo. Perciò mi ha incoraggiato ad andare in occidente e fare qualcosa di buono per il Tibet.

Quando lei è arrivata in Occidente, è stato difficile integrarsi? E iniziare a lavorare?

Inizialmente c’è sempre lo shock culturale. Sapevo che in occidente c’erano paesi liberi e quindi le persone potevano essere libere di fare qualcosa per se stessi, ed è per questo che non mi aspettavo di trovare persone così tristi … perché ? E quindi mi servirono molti anni per capire perché le persone non vivono l’attimo.

Cosa pensa dell’Italia e degli italiani? E’ mai stata a Varese? Se si’ha qualche ricordo particolare legato alla nostra città?Ha mai pensato di trasferirsi nel nostro Paese?

E’ la prima volta che vengo qui da voi. Ho avuto un’accoglienza molto calorosa. Certo, sono stata in altre parti d’Italia, però di Varese ancora non ho visto molto, ma spero di tornarci. Gli italiani hanno molto in comune con i tibetani, soprattutto per la semplicità e l’amore per la famiglia.

Un giornalista americano l’ha descritta con questa frase “sembra piu’ simile a un capo di Stato che a una cantante al suo primo viaggio in America”. Questa descrizione la rispecchia? Come si descriverebbe e come descriverebbe la sua musica?

In questa tournée ho Davide e Pino di Genova che mi accompagnano. Solitamente il mio messaggio è: tutti hanno un dono e tutti hanno qualcosa in cui credere. E’ per questo che canto “a cappella”: per ricordare questo concetto. Se hai qualcosa dentro devi farlo uscire senza bisogno di preparare troppe cose intorno.

Lei ora vive a New York: perché ha scelto questa città? Quali aspetti della vita orientale sono ancora presente nella sua quotidianità?

New York per me è u posto in cui nessuno ti chiede cosa ci fai lì. Ma per pregare non c’è bisogno di trovare un angolino, lo si può fare dovunque. Anche New York è un buon posto per pregare.

Quali sono i suoi prossimi progetti musicali?

Al momento collaboro con diversi produttori. Recentemente ho lavorato con Michael Bearden: è stato direttore musicale di Michael Jackson segue diversi artisti con i quali ha realizzato un Cd. Alcune volte l’arte unisce le persone più disparate, che siano tibetane, africane, cinesi, italiane…

Cosa pensa della situazione attuale del Tibet? Ha mai pensato di ritornarci?

Tutti hanno bisogno della propria casa, ed è troppo tempo che sono lontana dalla mia famiglia. Quindi spero di tornarci presto. Però ho deciso che ovunque io vada deve essere casa mia. Anche stasera, a Varese, questo palco è diventato casa mia.

La fondazione che sostiene Yungchen Lhamo è raggiungibile sul  sito http://www.yungchenlhamo.org

Produzione italiana: Viviana Vannello www.echoart.org