L’emergenza profughi è un tema purtroppo sempre all’ordine del giorno ma anche nel nostro territorio è sempre urgente tenere alta l’attenzione di fronte ai pericoli di strumentalizzare o dimenticare la gravità della situazione che si riflette anche nella nostra provincia. Per questo il 16 luglio si terrà un presidio dal titolo “La Varese che accoglie” in piazza Podestà dalle 18.30, proprio perché nello stesso giorno, il Consiglio Comunale di Varese ha in programma una discussione allo scopo di “definire la posizione che il Comune deve tenere verso le decisioni assunte dal Governo Centrale” in materia di accoglienza dei profughi. Come sappiamo la discussione e le polemiche sono state fino ad oggi materia ricorrente di scontro politico a livello nazionale e anche nel nostro territorio. Nel comunicato diffuso per l’occasione dagli organizzatori della manifestazione, si denuncia apertamente l’inadeguatezza della politica di chiusura che alcuni vorrebbero perseguire: ” è un approccio che lascia le cose così come sono, con lo scopo di trarre altri vantaggi, che non sono certamente quelli per i cittadini e men che meno per i profughi che ci troviamo a ospitare”. Gli organizzatori invece ribadiscono che è “importante offrire un contributo costruttivo a questo dibattito, nella speranza che sia considerato dalle forze politiche locali presenti nel consiglio comunale. È vero che siamo in presenza di una forte emergenza umanitaria, determinata da un alto afflusso di profughi nel nostro paese, che comporta uno sforzo organizzativo non indifferente per farvi fronte. È vero che una parte di questi profughi non sono nella condizione di richiedere asilo politico o assistenza umanitaria e quindi non sono nella condizione di fruire delle protezioni previste dalle convenzioni internazionali a cui il nostro paese aderisce. È vero infine che molti profughi vorrebbero essere accolti da altri paesi dell’Unione europea e approdano in Italia solo come paese di passaggio, ma questo viene impedito da una convenzione europea, la convenzione di Dublino, che costringe il profugo a fare domanda di protezione e a permanere nel paese di approdo. Tutto questo è vero, ma ci sono anche altre circostanze che vanno considerate. Le situazioni di guerra del Nord Africa e del Medio Oriente spingono alla fuga migliaia di persone in oggettivo pericolo di vita e al tempo stesso impediscono alle istituzioni internazionali di trovare soluzioni per l’ospitalità e la protezione in loco (il cosiddetto “aiutiamoli a casa loro”) ed è quindi inevitabile l’afflusso di un numero maggiore di profughi anche in Europa”.
Anche le cifre sono indicative: “l’incremento degli arrivi in Europa nel 2015, rispetto al 2014, è stato superiore all’80%. Anche in Italia è stato alto fino ad oggi, ma in linea con quello del 2014. Altri paesi europei si trovano in situazioni analoghe o anche più difficili. In Europa l’Italia è al terzo posto per accoglienza dei profughi in cifra assoluta, a pari merito con la Francia. Davanti ci sono la Germania e la Svezia. Ma se guardiamo il rapporto tra profughi accolti e popolazione scendiamo al 4° posto, dopo Svezia, Ungheria e Germania e al 6° posto se consideriamo i rifugiati stabilmente ospitati. Eppure l’Italia è il paese che ottiene gli stanziamenti più generosi in Europa a questo scopo dal “Fondo Asilo, migrazione e integrazione”.
Con riferimento al nostro territorio, dice il Coordinamento Migranti che organizza il presidio, “in Lombardia i rifugiati ospitati sono in media la metà di quelli ospitati in Italia. Per restare dalle nostre parti, a Varese ci sono meno della metà dei profughi di quanti sono a Busto Arsizio. Su iniziativa del governo italiano, l’Unione europea ha recentemente riconosciuto il principio della redistribuzione negli altri paesi europei di una quota di richiedenti asilo a prescindere dal paese di approdo. È solo un primo passo, ma va nella direzione giusta, ossia quella del superamento della convezione di Dublino, verso un’applicazione più coerente del principio di solidarietà tra paesi dell’Unione. È chiaro che, con la sigla di questo nuovo patto, il nostro paese si impegna ad accogliere la sua quota di profughi, anche qualora i flussi dovessero cambiare il paese di accesso. Infine la distinzione tra profughi in condizione di ottenere lo status di rifugiato e migranti per motivi economici si può fare solo dopo aver esaminato la situazione di ciascuno e pertanto è comunque necessaria una prima accoglienza prima di prendere le determinazioni necessarie circa l’accoglienza con protezione o il respingimento. Considerato tutto questo confidiamo che il dibattito tra le forze politiche in consiglio comunale non prenda la via breve della semplificazione e delle posizioni ideologiche, ma cerchi le migliori soluzioni a questo problema per quanto è nelle nostre competenze.
In proposito, il problema per Varese non sono i numeri, ma le modalità dell’accoglienza. Nel 2012, al tempo della prima grande ondata di profughi dalla Libia, sembrava che a Varese ci fosse l’invasione perché erano arrivati 45 richiedenti asilo. Sembravano tanti perché erano quasi tutti concentrati all’Hotel Plaza. Oggi ce ne sono 50 e nessuno se ne accorge, perché non se ne accorge la stampa. Quasi tutti sono ospitati in singoli appartamenti, sparsi per la città, “invisibili”. Del resto vivere in appartamento a gruppi di tre o quattro, significa badare a se stessi, dopo un primo periodo di accompagnamento da parte di un tutor. Significa farsi da mangiare, fare la spesa, essere costretti a relazioni con i locali… insomma una soluzione che aiuta una veloce integrazione ed evita il ghetto. E quando ci si integra, si è anche disponibili a dare il proprio contributo alla comunità, qualora venga richiesto.
A Busto Arsizio, pur in condizioni più problematiche, si vada in questa direzione. Con questo metodo Varese è senz’altro disponibile ad accogliere un numero di profughi superiore a quanti ne ospita oggi. Se l’amministrazione raccogliesse questo messaggio e se ne facesse interprete, ci sarebbero senz’altro altri cittadini disposti a concedere in affitto abitazioni disponibili per questo scopo, con la garanzia di una loro gestione attenta e corretta da parte delle associazioni che si stanno facendo carico dell’accoglienza. E aumenterebbe anche il lavoro per i nostri giovani, come già sta avvenendo, perché accoglienza è anche questo”.