Lunedì sera si è inaugurata a Varese, presso i Giardini Estensi, la rassegna Esterno notte, che raggiunge quest’anno un prestigioso traguardo: sono infatti ormai 25 anni che l’iniziativa viene riproposta con successo, cercando, anche durante la calda stagione, di tener vivo l’interesse e la curiosità di un pubblico variegato che del cinema sembra non poter fare a meno.
Non è certo un caso che, per l’occasione, la scelta di Giulio Rossini, promotore dell’iniziativa con l’associazione Filmstudio90, sia ricaduta su un classico intramontabile della storia del cinema: Metropolis, nella tanto discussa “versione Moroder” dell’84. Versione discussa non soltanto dalla critica, ma anche dal pubblico di lunedì sera, di cui abbiamo tentato di raccogliere le impressioni, così da valutare il senso e il successo di una proposta non certo banale.
Moroder riteneva, grazie all’aggiunta del colore e della colonna sonora, di aver restituito all’opera di Lang il suo spirito originario, e nel contempo di averla resa di nuovo accessibile al grande pubblico. Di certo scelte stilistiche come quella di ridurre a 87 minuti la durata del film e soprattutto l’aggiunta del contributo rock rendono il ritmo narrativo incalzante, riuscendo ad entusiasmare e affascinare anche un pubblico giovane di solito non troppo a suo agio con i canoni del cinema muto. E vista la forte presenza di pubblico lunedì, possiamo certo dire che anche questa volta l’intento divulgativo non è stato tradito. Ma è stato poi davvero recuperato da Moroder l’originario spirito di Lang? Le opinioni sono, come sempre, discordanti: se tra i più giovani qualcuno ha scoperto, proprio in questa occasione, il fascino “un po’ retro”del film muto, qualcuno si è mostrato più dubbioso. Alessandra, giovane studentessa, trova per esempio «stridente» il coraggioso accostamento tra musica ed immagini, anche se, ci dice, il film «mantiene comunque una certa attrattiva». Tra i cinefili più esperti, invece, per i quali si trattava ovviamente dell’ennesimo appuntamento con la pellicola di Lang, il dibattito è stato più acceso: c’è chi, come Roberto, critico intransigente, pensa che colonna sonora e colore siano «contrari allo spirito espressionista del periodo», e chi invece ribatte che, se anche ci troviamo con questa versione «quasi davanti ad un altro film», ciò non lo rende per questo meno interessante. Anzi, se ciò che non è mai piaciuto a certi critici e lo stesso Lang avrebbe voluto evitare era la banalità della morale riconciliatrice, sintetizzata dalla celebre stretta di mano tra capitalista ed operaio, le musiche di Moroder contribuiscono secondo alcuni a sdrammatizzare il languido romanticismo della storia.
E così le opinioni del pubblico varesino incontrano curiosamenteil dibattito tradizionale, che aveva coinvolto cinefili e registi già davanti alla prima versione del film del ’26: come diceva Buñuel, «se all’aneddoto preleviamo l’aspetto plastico del film, allora Metropolis appagherà i vostri desideri, vi meraviglierà come il più meraviglioso dei libri d’immagine». È l’immagine che si salva, in tutto il suo fascino, e così ognuno può trovarvi ancora le suggestioni che preferisce, come Cristina, che nella scena di Maria a Yoshiwara vede addirittura «quasi un omaggio a Klimt». Del resto la potenza delle immagini è accresciuta dal fatto che a noi, oggi più di ieri, sembra quasi di poterci specchiare in quell’utopico, ma forse non così irreale, 2026 immaginato da Lang. Ecco dunque uno dei motivi principali, come ci conferma Rossini, per cui ancora oggi può aver senso vedere Metropolis. E allora a maggior ragione qui sta forse il merito di un’iniziativa che è stata capace, anche nella nostra provincia, di offrire a tutti l’opportunità di riscoprire il fascino originario del grande cinema. Come dichiara Michele, uno dei fondatori di Filmstudio90, obiettivo di questa associazione è sempre stato quello di «proporre film fuori dai circuiti commerciali» e, aggiunge, «proprio questo ci ha permesso di crescere, rispondendo ad una domanda inascoltata del pubblico varesino».
E in effetti la serata di lunedì è stata di certo per i presenti un’occasione non persa, un’occasione per un confronto con le paure e i sogni del passato, ma in fondo anche con la nostra stessa identità culturale, grazie ad un film che, non a caso, è stato il primo inserito dall’UNESCO nel Memory of the world, programma che si propone di preservare la memoria documentale dell’umanità. Forse ciò che ci affascina ancora oggi del regista austriaco è la sua capacità di guardare, e precisamente di guardare a quello che oggi è il nostro presente, quasi in modo preveggente. Del resto lo stesso Lang, come ricordato da Moroder in apertura del film, diceva di sé: «Innanzitutto, dovrei dire: io sono una persona che vede».
Interviste a cura di Luca Scarafile e Monica Cristini