Nella ricca serie di eventi che sabato hanno riempito la giornata conclusiva di Varese cinema 2012 si è anche presentata l’occasione per rendere omaggio a chi ha scritto, letteralmente, la storia del cinema italiano e non solo: Tonino Guerra. La pasticceria Pirola a partire dalle 17 ha infatti ospitato Amarcord di Guerra, iniziativa curata da Marcello Castellano, che ha visto ripercorsa la lunga e fruttuosa carriera del poeta romagnolo attraverso al lettura dei suoi testi offerta da Karin Andersen, Chiara Bazzocchi, Rita Clivio, Riccardo Tranquillini e agli interventi musicali di Fabio Scotto, ma anche attraverso la ricostruzione da parte della psicoterapeuta Alida Martignon dello stretto rapporto intercorso tra Guerra e Fellini.
L’incontro, come ha tenuto a sottolineare Marcello Castellano, «voleva ricordare un autore, recentemente scomparso, che con le sue sceneggiature ha saputo rendere grande il cinema italiano dal neorealismo degli anni ’50 fino agli ultimissimi anni della sua vita, ma che non soltanto nel cinema ha espresso la propria creatività». Tonino Guerra con le sue sceneggiature – più di cento tra il 1956 e il 2008 – ha infatti dato parola alla genialità visiva di registi come Fellini, De Sica, Antonioni, Rosi, Monicelli, Tarkovskij, Wenders, Angelopoulos; è stato però anche romanziere di successo, scrittore di racconti, persino pittore e disegnatore. Tuttavia, prima di tutto e in ogni sua attività, è stato un poeta, ed è per questo, come ancora ci spiega il curatore dell’iniziativa, che «un gruppo di persone che scrive e si occupa di poesia ha deciso anche a Varese di rendere omaggio al grande “poeta del cinema”».
Tonino Guerra ci ha lasciati il 21 marzo di quest’anno all’età di novantadue anni, proprio in coincidenza con la celebrazione della Giornata Mondiale della Poesia istituita dall’Unesco. Si è chiusa così una vita il cui finale, più che al caos imponderabile della nostra esistenza, sembra appartenere all’ultima battuta di una lunghissima e ricchissima sceneggiatura. Ripercorrere questa sceneggiatura, rievocare cioè l’opera e la vita di questo autore si rivelato un compito arduo, quasi impossibile. Da una parte infatti le vicende della sua esistenza, come la reclusione in un campo di prigionia tedesco durante la guerra, si intrecciano con la difficile storia del nostro Paese; dall’altra, la serie sterminata delle sue sceneggiature e delle sue pubblicazioni ha reso possibile sabato pomeriggio soltanto un assaggio della sua creatività: si è iniziato con Amarcord, si è tornati agli esordi letterari sotto la tutela di Carlo Bo, per giungere fino alle opere più tarde e a La polvere del tempo, ultima sceneggiatura composta per Theo Angelopoulos.
Inevitabilmente si è trattato soltanto di qualche breve lettura. Eppure, anche sabato, la poetica e la personalità di Guerra sono emerse: la sua semplicità innanzitutto, la capacità di ritornare alle cose più “elementari” e per questo più importanti della vita, come l’amore per la sua terra e le donne, che Guerra descriveva con passione, ma anche con la sua ironia mai fuori luogo, come quando diceva che «le donne lavorano tanto e leggono poco, ma dovrebbero trovare il tempo di leggere perché solo leggendo la pelle diventa più luminosa». Ed ancora: la sobrietà del suo stile, la capacità di fare uso di un umorismo scanzonato, e di ricorrere nel contempo ai riferimenti più colti, come quando decideva di citare Amelia Rosselli nella sceneggiatura di Deserto Rosso con quella frase – «Mi fanno male i capelli» – che ancora riesce a sconvolgere lo spettatore. In tutto questo, a sorreggerlo è stata la voglia mai sopita di impegnarsi in nuovi progetti, di non smettere mai di sperimentare, una voglia che oggi ci appare come la migliore testimonianza di ciò che dichiarava in uno dei suo componimenti: “tutto il bello, come si sa, sta nel cercare”.
Leggerezza e poliedricità emergono inoltre nella maestria con cui faceva uso dell’italiano allo stesso modo del dialetto romagnolo, nel tentativo perseguito per tutta la vita di nobilitare quest’ultimo, così da poterlo rendere lingua della poesia. È del resto proprio la difesa da parte di Guerra negli anni ’50 della poesia dialettale ad assumere oggi, proprio a Varese e in questa occasione, un significato particolare: «Quando sono brutte, sciatte, volgari oppure scopertamente sentimentali o fotografiche, non bisogna prendersela con la poesia dialettale ma con quell’artista che non è riuscito a darci della buona poesia». Già, di fronte ad altre iniziative e alle affermazioni che nel talk show inscenato in piazza del Podestà hanno con più voci rimarcato il valore fondamentale e fondante del dialetto per la nostra cultura, sono parole che suonano come una critica e quasi come un monito per il futuro: era impossibile immaginare quest’anno una festa del cinema senza il ricordo di Tonino Guerra e comunque apprezzabile è stata l’iniziativa della nostra città per assolvere questo compito, anche se forse questo omaggio meritava altri spazi e maggior risalto, trattandosi della memoria di chi rappresenta la storia del cinema e la buona poesia.
È dunque quasi un obbligo ripromettersi di ricordarlo di nuovo o, almeno per chi non può scordare il connubio tra cinema e poesia che egli è riuscito a realizzare, di non smettere di ascoltare le sue parole, parole che, come le opere di un artista o le immagini di un regista, non valgono soltanto per il significato che hanno nel momento in cui sono composte, ma per il senso che si riesce a trovare in esse ogni volta che le si legge o le si osserva. È per questo che tra le scelte meglio riuscite dell’incontro di sabato è risultata allora quella di chiudere l’incontro con quell’arringa scritta da Tonino Guerra, quasi profetica nella sua attualità, che Tarkovskij in Nostalghia ha fatto pronunciare a Domenico, il matto tra i personaggi più emblematici del film, quando egli si rivolge, prima di darsi fuoco, a coloro che sembrano essere i sani di mente: «La società deve tornare unita e non così frammentata; basterebbe osservare la natura per capire che la vita è semplice e che bisogna tornare al punto di prima, in quel punto, dove voi avete imboccato la strada sbagliata. Bisogna tornare alle basi iniziali della vita, senza sporcare l’acqua». Frasi che oggi, forse più di ieri, suonano come condanna della nostra società, ma nello stesso tempo, come ancora ci ha confessato Marcello Castellano, «come un inno alla semplicità e alla speranza, un medicinale per il futuro»: il miglior modo dunque per ricordare Tonino Guerra.
Luca Scarafile