C’è chiacchiericcio in sala: gli studenti dei licei di Varese si sono radunati al Politeama questo Giovedì mattina, per assistere ad uno spettacolo che tra poco emozionerà a tal punto da ammutolire anche le lingue più vivaci.
Giovannelli, direttore di Varese News, presenta brevemente lo spettacolo dal titolo “Il Milite Ignoto”, ricordando l’importanza di mettere da parte “tifi” e “pregiudizi” perché “è dovere del’uomo conoscere, e non permettere mai che la follia prenda il posto della ragione”. Invita poi i ragazzi a dimenticarsi per un attimo di loro stessi e della “finzione” a cui stanno per assistere, e di credere che questo spettacolo sia un viaggio, un viaggio compiuto da un diciassettenne come loro, cento anni fa.
Sul palcoscenico c’è un’unica scenografia: un cumulo di sacchi di iuta, che getta un’ombra inquietante sullo sfondo, e trepidante, l’uditorio attende.
Quando Mario Perrotta fa il suo ingresso, con poche parole, conquista già i ragazzi: mescola con grande abilità più dialetti della penisola italiana, per dimostrare il valore sincretico che ebbe la Prima guerra Mondiale tra i parlanti italiani. Il salto che questi ragazzi del ’99 compirono, con la guerra, fu quello da “civile” a “soldato”, da “uomo” a “soldato”, perché la vita in trincea fece loro perdere l’identità e rimanere solo esseri capaci di sentire…
“Occhi, occhi uguale buio (…) Orecchio, orecchio uguale botti, non di festa, non di pioggia e poi lamenti… Naso, naso uguale schifo, sangue e fetore che resta nelle narici (..). Bocca, bocca uguale secco e sporco, affanno e fame (…). Mani, mani uguale –cojoni- da stringere per ricordarti che il tuo posto è qui e che sei soldato: obbedisci ed eseguisci, signorsì…”.
Mario con grande abilità, e un sottile velo di sarcasmo, tiene viva l’attenzione degli spettatori: fa parlare i suoi soldati dell’inutilità della guerra, di quei “Trento e Trieste” che per molti erano solo nomi e solo per “gli studiati” significavano qualcosa (ma loro poi non andavano a combattere in trincea), fino alla discussione “guerra che si, guerra che no”, alla dichiarazione di neutralità italiana fino a quel maledetto 24 maggio 1915 e alla partenza di migliaia di ragazzi per il fronte.
Si parla poi delle difficoltà della vita in trincea, delle lunghe attese, del fango che invade ogni cosa e dei flagelli dei soldati: la cancrena che irrigidisce i piedi e nei casi più gravi porta all’amputazione, i pidocchi infestanti che causano febbri allucinogene e morte.
Mario non manca di sottolineare gli episodi di fraternità verificatesi tra truppe nemiche al fronte, e di come entrambi gli schieramenti giungessero ad un sentimento quasi solidale, nato dalle avverse condizioni che condividevano.
Il momento più sconcertante è però l’assalto, quando per decisione altrui il soldato è costretto a correre per conquistare la trincea nemica, per un’incomprensibile legge di guerra: “muori senza gloria, ucciso da uno che si sentiva inutile quanto te”.
“Sono tutti e sono nessuno, sono ignoto anche a me stesso, figurati al resto del mondo che mi dice disperso”. Lo spettacolo si conclude così, e un applauso commosso invade la sala.
A seguire sono intervenuti Pier Vittorio Buffa (Gruppo l’Espresso), Luigi Vicinanza (Direttore editoriale dei 18 quotidiani locali del gruppo Espresso) e Nicola Maranesi giornalista e ricercatore dell’Archivio di Pieve Santo Stefano il quale, in collaborazione con il gruppo Espresso ha creato un sito on-line che raduna gran parte di lettere, diari ed epistolari dei soldati della Prima Guerra.
Durante il lavoro di ricerca del materiale molte cose hanno colpito Nicola: i sentimenti dei soldati da loro provati durante la permanenza in trincea, la loro esigenza di scrivere ad amici, genitori e mogli per dire “sto bene”, “sono vivo”. E chi legge queste lettere percepisce le loro stesse emozioni perché i diari hanno il potere di “annullare le distanze”.